Il formaggio, il cascio a corte nel Rinascimento italiano
Il formaggio ha un posto di riguardo nella cucina rinascimentale italiana e viaggiava prima di arrivare a corte. Quello duro in particolare, perché i formaggetti teneri teneri, freschi freschi venivano prodotti a Ferrara, o a Roma, ed utilizzati subito, in mille modi. La carta dei formaggi per Regioni, ma si dovrebbe parlare di ducati, di Stati, prevedeva in Toscana il raviggiolo e un marzolino di particolar pregio, in Emilia il Parmigiano – Lodi e Piacenza concorrevano con i propri, simili – a Milano, il “formaggio grasso”, a Napoli il cacio cavallo ed infine c’era il Sardesco, bianco dentro e nero fuori. Questi alla corte papale, secondo Bartolomeo Scappi, lombardo di Dumenza. A tavola, non c’era un servizio dei formaggi, ma questi trovavano posto nella lunga serie dei piatti del servizio di credenza, e “casci marzolini di due libbre l’uno spaccati” erano offerti, a Roma, con pere e mele, e marroni arrostiti. Ai commensali restava l’assaggio con coltello (Opera, 1570, 305v). A Ferrara, alla corte ducale, le “pere bergamotte” venivano disposte accanto al “formaggio buono” (Messisbugo, 1549, 21) e la “fava fresca” al “formaggio piacentino, & marciolini” (Messisbugo, 1549, 14). Questi ultimi prendevano il nome dal mese iniziale di mungitura delle pecore, marzo, che si protraeva sino a giugno, e calendarizzavano il banchetto stesso. Potevano essere fiorentini o romagnoli serviti gli uni accanto agli altri, per un raffronto (Rossetti, Dello scalco, 1584, 70). Quanto al pane, esso era servito sin dall’inizio ad ogni commensale, con tovagliolo e coltello, in forma di “pane intorto” o “boffetto” e/o “brazzatella”, quest’ultima di fior di farina impastata con uova, burro, zucchero e latte. Il “pane de latte e zuccaro”, “più bello a farlo tondo”, del peso di due etti e mezzo, era particolarmente apprezzato.
C’era poi l’uso del formaggio in cucina, onnipresente. Veniva grattato dentro e sopra i “Ravioli da Grasso” ed era ingrediente indispensabile per le “frittelle con fiore di sambuco“ che lo esigevano sia fresco che duro grattato e salato (Messisbugo, 1549, 57v). Un tomino tagliato in fette sottili veniva deposto sulla sfoglia in una teglia, coperto da una seconda sfoglia e così via per tre volte, sempre con zucchero e cannella, sino all’ultima spalmata di burro ed infornata. (Sfogliata sutta doppia bonissima, Messisbugo, 1549, 42-43). Il formaggio grattato era previsto persino nelle trippe di vitello o d’agnello.
Fonti:
Messisbugo, Libro novo, 1549, 5 (Forni, ristampa anastatica edizione Venezia 1557)
Scappi, Opera, Venezia, 1570, 5v