Alessandro Verri – Pane e condivisione
Delle risposte sorprendenti, ironiche e divertenti, come del resto è anche il suo stato di whatsapp che dice “Sto impastando”: questi gli “ingredienti” del giovanissimo panificatore torinese Alessandro Verri.
Prima di porgli le nostre 8 domande, gli abbiamo chiesto di presentarsi… e sentite un po'.
Ci dici qualcosa di te?
Ho 23 anni e lavoro da tre anni e mezzo. Ho frequentato il liceo classico e poi ho fatto il corso di panificazione a Pollenzo: allora era la prima edizione del corso che l’Università di Scienze gastronomiche avviava; era un corso appena nato, ma io ero già molto appassionato di pane: per farvi capire, quando ero ancora al liceo, una notte a settimana stavo sveglio per fare il pane, oppure quando a scuola c’era l’autogestione io tenevo il laboratorio “BreadLab” e si faceva il pane.
Dopo il corso a Pollenzo ho iniziato a lavorare da Taglio, pizza per… fetta: lì ho portato il pane, perché prima non c’era.
Come faccio il pane? A Pollenzo quello che mi è piaciuto è stato che non si partiva mai da un sacchetto di farina pronto, ma sui andava sul campo e quindi si andava a conoscere in profondità la materia. Per la mia farina uso vecchie varietà di grani teneri – che non sono i “grani antichi”: quella denominazione è soprattutto, a mio avviso, un’operazione di marketing, per questo non la uso per parlare della mia farina. I grani vengono lavorati con le macine a pietra. Uso lievito madre, che impasto solo con farine semi-integrali o integrali, sale dolce di Cervia e acqua.
In generale adesso lavoro alla mattina al Luogo Divino, un’enoteca dove ci sono dei forni grandi che mi permettono di fare il mio pane; poi continuo a lavorare da Taglio al pomeriggio, e fornisco molti ristoranti importanti. La collaborazione con Tommaso di Mollica invece è recente, di 4-5 mesi, e mi ha avvicinato al mondo del panino.
Il pane lo consegno sempre in bici, una consegna per volta, e questo lavoro mi impegna 2 ore al giorno… in qualsiasi condizione meteorologica, anche con neve e pioggia.
1. A cosa pensi se dico “panino”?
Mi viene in mente Tommi, senza dubbio. Io non sono un appassionato di panini nel senso che lavoro da sempre con pani di grande formato, perché esprimono un senso di condivisione: un pane unico che viene diviso in parti. E poi un pane grande, rispetto al pane piccolo, è più duraturo.
2. Il primo panino che hai mangiato?
Il panino della merenda alla scuola elementare: il classico era un toast con prosciutto e formaggio. Adesso torno a mangiare questo stesso panino dopo una serata importante.
3. L'ultimo che hai mangiato?
Da Tommi, con verdure e formaggi. Non sono un grande mangiatore di panini, dicevo, nel senso che preferisco una bella fetta di pane con burro e marmellata piuttosto che riempirlo di cose a caso.
4. Un panino che non mangeresti mai?
Quello dei baracchini post serata: assolutamente no.
5. Il panino italiano è diverso dagli altri? Perché?
Assolutamente diverso: fuori dall’Italia il panino è concepito a partire dalla carne, unta e stracotta. Noi italiani lavoriamo più su altri ingredienti come verdura e formaggi.
6. Una ricetta che possa essere ambasciatrice del panino italiano?
Totalmente basata da verdure, magari confit, e formaggi come bufala o stracciatella. Aggio, assolutamente, timo o alloro, entrambe erbe molto preziose.
7. Come immagini il panino tra 20 anni?
Lo immagino alla ricerca di una qualità perduta, perché la qualità manca moltissimo nel panino da strada.
8. Se tu fossi un panino?
Sarei un panino fresco, con un pane enorme di 2kg… da dividere in compagnia. Anche questo concetto del panino fatto con due fette di pane deve essere rivalutato perché è un grande prodotto.