A porte chiuse
In questi tempi, è inevitabile ricercare antefatti alla nostra chiusura in casa, nutriti a misura, e trovare analogie pregresse, quindi vie di fuga possibili. E si pensa all’ultima guerra mondiale, non al fronte ma alle retrovie approvvigionate secondo un preciso regolamento annonario, con tanto di tessere e di code per rifornirsi.
A cura di Alberto Capatti
Che rapporto ha l’alimentazione col coronavirus? Nessuno apparentemente, se non obbedire ad un medesimo adagio facendo di necessità virtù. La libertà di nutrirsi, senza misure specifiche, senza conseguenze sanitarie, è compromessa, e questo basterebbe a farci sentire in una guerra virale. Il sistema alimentare è stravolto: chiusi bar e ristoranti ci si alimenta in casa, il che non vuol dire far la spesa e cuocere, ma rinunciare allo street food e a tutta l’offerta occasionale. Il panino, la pizzetta, il calice di bianco fermo sono divenuti ricordi: cancellati gli orari, le soste, gli incontri, i morsi e i sorsi a distanza ravvicinata. In casa ovviamente è salita la delivery, non solo il cibo consegnato pronto ma tutta la spesa, per chi non osa o non può uscire. Gli acquisti sono programmati, senza varianti dell’ultima ora né rinunce improvvise. Il supermercato conserva la sua priorità, anzi è l’epicentro del sistema, con o senza approvvigionamenti diretti, con il carrello. E in casa il freezer crescerà di capienza. Quanto al regime: meno moto, meno cibo, ed ore fisse, mezzogiorno e cena. La disciplina è l’inevitabile conseguenza di una vita rinchiusa per legge. Petronilla, Amalia Moretti Foggia, medico e giornalista, nel 1943, in 200 suggerimenti... per questi tempi, affrontava il problema con delle ricette, e la prima era : Zuppa per… questi tempi (niente pasta, niente riso, niente grassi). Nel 1943, aveva senso a fine mese, quando le scorte erano finite, mentre oggi questa zuppa è lasciata a discrezione, ai pruriti dietetici. Eppure sarebbe interessante imitarla registrando duecento ricette dei nostri tempi. Tutto farebbe supporre che è un momento d’oro per la cucina di casa, eppure non vi sono cenni nella stampa, e davvero sembra evidente il suo declino, controbilanciato dalle cucine collettive e industriali, dai surgelati e dalle conserve. Il coronavirus non ammette nessuna socialità altra da quella dello scapolo o della coppia di conviventi o della famiglia, e il cibo è per ciò stesso taciuto. Dunque la reclusione modifica non solo i consumi ma le regole che li condizionano, e il valore stesso delle derrate, facendo della guerra (al virus) un principio regolatore. Senza entrare nel regime dei malati negli ospedali, sul quale pare inutile pronunciarsi, lo Stato, l’industria alimentare e la grande distribuzione hanno in mano mestolo e padella, razionando discorsi sbrodolati sulla fine dell’epidemia, senza cenni ad un ritorno al passato.
E il panino? Fatevelo in casa, magari con una ricetta on line e i relativi ingredienti acquistati all’inizio della settimana. L’improvvisazione non sussiste più. Era il cibo per eccellenza da aprire e da chiudere, che accoglieva ingredienti imprevisti, e lasciava la libertà di derogare ad ogni norma. Preparatevelo in casa, fingendo di morderlo in piedi, altrove, immaginandovi – ma non è detto – che tutto torni alla normalità. Con la porta chiusa, lavate le mani, anche il nostro cervello ne risente, o meglio dialogando solo con il computer svampisce, rendendo virtuale il nostro modo di vivere, di desiderare, panino compreso.