Piatti, piattini e “scarpette”. E il panino dove sta?
Il Gambero Rosso li ha raccontati e fotografati. Piatti, piattini che portano disegnati e colorati frammenti di cibo, bave di salse, perché il design oggi non esita a prendersi gioco dell’appetito dei consumatori, della loro indole maniacale, dei loro residui, capace di tradursi in una "scarpetta".
A cura di Alberto Capatti
Vedo in fondo al piatto delle forme appena accennate, dei colori, e mi resta ancora la voglia di pulirli con un pezzetto di pane, e offrirmi l’ultimo boccone. Anzi no, perché tutto è disegnato e nemmeno la lavastoviglie può farci nulla.
Ma se sul piatto metterò un panino, potrei solo vedere delle briciole, disegnare delle briciole, un brulichio di puntini neri o marroni e nulla più. Così, non c’è scarpetta che tenga né design.
La legge del panino vuole che, per il principio di non contraddizione, non si possa ripulirne il fondo, e che si possa solo riprendere, con l’ennesimo, con l’ultimo morso, quanto resta.
E allora progettate, disegnate piatti per i panini, e solo una piccola parte saranno tondi, perché ci attendiamo che ne sposino la forma, anzi, invece che i piatti, inventiamo altri supporti che saranno senza scarpetta perché un panino finisce tutto in bocca ed è improbabile lasciarne qualcosa.
Quest’ultima ipotesi ci ricorda che noi paninari non amiamo i resti, gli sprechi, e, se il pane è d’oro, come dice la Phaidon, il panino non è di un oro leggendario, bensì di un semplice impasto di farine destinato non a accompagnare, recuperare, scarpettare, ma a operare una sintesi di ingredienti e sapori, saziando corpo e mente, a piccoli o grandi morsi.
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