Il panino triste
Era triste, ma così triste.
Magro, sottile direi.
Due fette di pane conservato, uscito da una improbabile busta di plastica, dopo mesi di abbandono sullo scaffale di un supermercato "discount", come si usa dire in questi tempi moderni.
Pallide come se non avessero mai visto il sole; di un pallore malato che odora di ospedale.
No, non sembrava affatto pane.
Non aveva neppure quel sottile contorno di crosta colorata che poteva aiutare a immaginarlo come pane, prima di essere affettato.
Nel mezzo due fette trasparenti, gelatinose e biancastre più che rosa, di spalla cotta, perché chiamarlo prosciutto cotto davvero non è possibile, e una fetta di formaggio "filante" imprecisato, del quale è preferibile non sapere nulla (come di tutto il resto, a dire il vero).
Tostarlo era l'unica possibilità che restava per poterlo ingurgitare.